agosto 22, 2007

Le chameau sauvage

Io ormai è da un anno che scrivo più. Io ormai è da un anno che scrivo nessun racconto perché ogni volta che mi metto mi viene in mente che son niente capace di scrivere racconti decenti. Così vivo. Poi però stamattina è successo che son dovuto andare alla standa a comprare un deodorante perché il mio vecchio deodorante è finito in un cestino dell’aeroporto di Venezia e ho visto una cosa che mi ha convinto a scrivere ‘sta cosa.
Il mio nome è Leandro. Non è il mio vero nome, si intende, il mio vero nome è talmente borioso e altisonante che non può essere usato in un racconto scritto in prima persona senza farlo diventare pesante, e questo non è un racconto pesante ma è un racconto di una leggerezza tale che scrivendolo mi sento pieno di elio. Mentre facevo le scale della standa pensavo al mio vecchio deodorante e ai tre giorni passati in Francia e a quando il mio amico Piero ha giocato un torneo di calcetto con gli anfibi con la punta di ferro. Io Leandro sono andando il Francia insieme ad altre cinque persone per il matrimonio di un amico caro caro che non vedevo da un anno. Lui si chiama Piero e si è sposato in Francia con una ragazza della Francia che si chiama Helene. Helene non si chiama proprio così, Helene ci ha degli accenti in giro che so mica mettere. Mentre facevo le scale della standa per comprare il deodorante nuovo ho pensato che questo matrimonio del mio amico Piero con Helene mi è piaciuto talmente tanto che pensandoci mi è venuta la pelle dell’oca sul braccio destro e sul lato destro del grugno. Poi al piano superiore della standa ho visto una cosa che mi ha convinto a scrivere questo che più che un racconto è un diario di pancia del matrimonio. Così cerco di dimenticare di non essere capace a scrivere e tento di sedermi e provare a scrivere ascoltando la mia pancia, dove in questi tre giorni son finiti quattro o cinque litri di vino francese.
Al matrimonio del mio amico Piero e di Helene con gli accenti siamo andati con il plano e poi con un furgone. Nel plano eravamo in sei. Io di questi sei conoscevo Tommaso e Gabone perché abbiam sempre bevuto delle birre insieme, poi ci erano Mattia che ha sempre pensato che io fossi un scemo e quindi non ci ho mai parlato tanto, la sua ragazza della Spagna che avevo mai visto e Gaggia amico di Mattia anche lui poco conosciuto perché anche lui ha sempre pensato che ero un scemo. Loro che pensavano ero un scemo non me l’hanno mai detto ma si vedeva che lo credevano. Questo penso mentre faccio i primi due gradini della standa per comprare il deodorante nuovo, e penso a quando Piero cantava le canzoni dei Doors spacciandosi un inglese con il controllore del vaporetto per evitare la multa ché eravam senza biglietto. Poi all’aeroporto di Borduax abbiam incontrato Luca che arrivava da Madrid. A Luca ci voglio bene perché è amico mio e non pensa chi sia un scemo. In questa Borduax abbiam affittato un furgone chiamato Il Bastardo Bianco e abbiam mangiato dei piatti di anatra e formaggio seduti nel dehor di una trattoria. Qui a Borduax in questo dehor stavam tutti come fossimo amici da anni e non si capiva che Mattia e Gaggia pensavano che ero un scemo. Mattia e Gaggia quando volevan far ridere parlavan come parla Piero quando vuole far ridere e a me questa cosa piace perché mi ricorda il mio amico Piero ma mi fa anche triste perché credo che sian intelligenti ma ci abbian poca personalità. Il cameriere della trattoria di Borduax ci aveva due gran gengive il naso lungo e la giacchetta bianca con le macchie di vino rosso. Lui era proprio come i camerieri dei film francesi degli anni cinquanta. Poi dopo pranzo Luca ha guidato fino a Sant Junien dove avevam l’albergo e appuntamento con gli altri invitati. Ci era il sole e la campagna francese era verde come quella italiana ma ci aveva un odore diverso e il cielo era lungo come in Italia l’ho visto mai. Le case eran tutte basse a un piano ed eran ville che in Italia si vedon mica perché quella ville in Italia avrebbero avuto almeno tre piani. Mentre facevo gli scale della standa per andare a comprare il deodorante che mi han buttato via in aeroporto pensavo al cielo della Francia senza sapere che poi al piano superiore avrei visto quella cosa che mi ha convinto a scrivere questo diario di pancia che è anche un po’ un racconto, e pensavo a quando con Piero abbiam tirato sassi contro le finestre del patronato.
A me che so niente, prima di partire per il matrimonio del mio amico Piero e di Helene, i francesi piacevan niente ché mi parevan sempre più furbi degli altri, soprattutto degli italiani. Io son una persona che ha viaggiato quasi niente, ho visto poca roba in giro e son riuscito a farmi un’opinione sui francesi e sui tedeschi leggendo i loro libri che mi han fatto venire in mente che noi italiani abbiam un complesso d’inferiorità nei confronti dei francesi mica tanto giustificato, ché mi pare che loro i francesi parlino sempre bene e con toni furbi, ma che poi finiscano sempre a parlare di quello che hanno appena detto e di quanto bene lo han detto. Tranne Celine che lui è dio perché ha creato delle cose che prima ci eran mica. Dei tedeschi mi pare che noi italiani li rispettiamo ma non li amiamo e che loro i tedeschi ci amino ma non ci rispettino, ma che in complesso li si possa definire gran pensatori e quindi persone che a me mi piacciono. Questa cosa sui tedeschi la scrivo perché l’ho detta a cena al mio amico Luca senza pensarci tanto e lui mi ha detto che era una pensata da gran furbo, ma adesso che son qui a scrivere mi pare che sia mica una mia pensata e che potrei averla sentita da qualcuno e riciclata. Penso a questo mentre faccio i gradini della standa che portano dal secondo al terzo piano, e ricordo quando ho chiesto a Piero perché nessuno mi parlava e lui mi ha risposto “bhè, non è che tu comunichi poi così tanto”. Al matrimonio del mio amico Piero e di Helene ho scoperto che ci son francesi che invece di parlare stan muti anche loro. Ho visto due persone che potrebbero far media perché son molto diverse una dall’altra: una ragazzina di circa diciassette anni e un uomo di circa trentasei. La ragazzina si chiamava Catherine ed era molto carina e apparentemente arrabbiata. A me le ragazze che parlan poco mi son sempre piaciute perché parlo poco pure me e facendomele piacere soddifso il mio narcisismo. Questa ragazza Catherine ha detto nessuna parola in tre giorni a nessuno dei venti invitati amici di Piero che arrivavan da Venezia, solo è rimasta tutto il tempo a guardare in giro senza nemmeno sorridere a nessuno. Solo una volta l’ho vista sorridere mentre era in disparte nel giardino della casa della famiglia di Helene dove abbiam fatto festa il giorno dopo la chiesa, penso guardando fuori della vetrata della standa che dà sul viale dell’isola, e mi vien in mente quando Piero è caduto dal California rompendosi lo scafoide. Lei Catherine ragazza muta stava sempre attaccata al suo padre Fred, un uomo con gli occhi e il naso di un coyote, ma con un stomaco che avrebbe potuto ingoiarmi. Io ranicchiato in quello stomaco avrei potuto vivere tranquillo come un beato da quanto era grande. L’altra persona che parlava mai era uno dei sette fratelli di Helene che si chiamava Joseph. Lui ci ha una barba di almeno un anno e i capelli crespi. A prima vista somiglia a Charles Manson ma se riesci a parlargli poi capisci che è un gran buono e non un serial killer americano che brucia i suoi amici dentro una casa. Joseph pare davvero un gran buono, ma non ci ha gli stessi occhi di Helene la moglie del mio amico Piero che sembra una persona gran buona anche lei che fa e dice cose come le vengon in mente senza gran ricami. Durante la cena il giorno delle nozze la ragazza Catherine e Fred suo padre e Joseph fratello di Helene eran seduti al tavolo degli sposi insieme a Mathilde e Luca e me che son Leandro e Falien e Sophie e Olivier e tale Mauro. Tale Mauro si chiama anche Peo perché è pelato e ha fatto il testimone dello sposo insieme a Marco che invece ha i capelli biondi, molti molti soldi e una ragazza Carlotta seduta al tavolo vicino a lui. Marco ha molti soldi e gira il mondo. Io invece giro l’angolo della scalinata della standa senza sapere cosa avrei visto al piano superiore e mi vien in mente di quando Marco mi ha raccontato il suo viaggio nella Mongolia senza nessuna spocchia che infatti lo ascoltavo davvero dentro il ristorante dove abbiam mangiato nouvelle cusine spendendo cinquanta carte a testa ma con soddisfazione, e ricordo quando Piero ascoltava Chris Isaac guidando la Tipo rossa del Lino verso San Martino di Castrozza. L’altro italiano del tavolo degli sposi era Luca che è uno dei miei migliori amici. Io di stare al tavolo degli sposi ero contento tanto che quasi piangevo perché Piero per me è un po’ come Luca e tutti e due vivono fuori dall’Italia e li vedo quasi mai che quando li vedo poi penso a un sacco di cose che gli ho visto fare e sentito dire che per me han un significato perché han cambiato il mio modo di parlare e anche un po’ pensare. Piero e Luca li conosco da quando avevo il moccio al naso e son arrivato nell’isola dalla Liguria. Io quando mi son seduto al tavolo degli sposi ci avevo un poco di paura di fare delle figure brutte e stavo tutto rigido agitato con il dentro che mi pareva di melassa che infatti poi ho rovesciato un bicchiere di vino sulla tovaglia ma Piero e Helene si son mica arrabbiati. Nel pomeriggio avevo bevuto tanto di quel vino francese che il dentro non stava fermo un attimo e mi toccava dirgli sempre di starsi zitto. Infatti ero talmente agitato e ciucco che quando son uscito dalla sala per fumare una sigaretta mi son mica accorto che ci erano pure dei francesi parenti della sposa Helene con gli occhi buoni e ho fatto un rutto così grande che loro han sentito e in francese han detto sottovoce che ero un gran maiale. L’ho capito benissimo. Io volevo far finta di non esser stato me ma lì ci ero solo io e quindi non mi è stato possibile. Dopo la cena abbiam continuato a bere vino fino alle tre del mattino. Si è ballato la musica ricercata del mio amico Piero. Durante la ballata uno degli invitati del mio amico Piero ha messo le mani sotto la gonna della testimone francese di Helene, lei la testimone francese però ci aveva il ragazzo che stava lì a ballare anche lui e quando si è accorto che Guido l’amico mio e di Piero ci aveva le mani nelle mutande della sua ragazza ha avuto una reazione che ho capito mica, ma che ho pensato essere una reazione da gente francese. Insomma lui il ragazzo è andato dalla ragazza ormai quasi senza mutande e le ha dato un lungo bacio con la lingua senza guardare Guido che un secondo prima aveva le mani dentro le mutande della sua ragazza. Poi il ragazzo francese se ne è andato a bere pure lui. Secondo me in Italia il cornuto avrebbe tirato gran pugni a Guido e un sberla alla ragazza. Vai a capire ‘ste francesi e le loro abitudini, magari son abituate a far le maialate dietro l’angolo con il primo Guido che capita, mi dico guardando l’unghia nera del mio piede facendo i gradini della standa senza sapere cosa avrei visto al piano superiore e pensando a quando Piero correva nel corridoio dell’ostello in mutande durante un capodanno a Salisburgo. Poi barcollando verso il centro della pista ho pensato che forse loro fan le maialate con chi capita perché non ci han la chiesa che ci dice cosa devono e cosa non devono. Poi mi vien in mente Avignone. Poi ricordo che son a una festa. Poi penso che son ciucco e che sto ballando una canzone che qualche anno fa mi piaceva molto e quindi la canto ballando come Travolta quando porta fuori Uma Turman in Pulp Fiction. La festa finisce con Helene che mi dice l’unica parola dei tre giorni sorridendo con gli occhi azzurri che ci ha: “la festa è chiusa, vai a casa”, io le faccio il sorriso più grande che posso per farle vedere che son un bravo pure me e vado verso il furgone. Guido mi dice che ci ha dei problemi con “una terribile malformazione in mezzo alle gambe” e che deve “piazzare il latterizia”, Luca è già tornato in albergo perché era stanco, Gabone si è rotolato nel furgone insieme a Guido che non essendo abituato alle usanze locali è scappato dal fidanzato della smutandata francese testimone di Helene moglie del mio amico Piero. Nel Bastardo Bianco ci è pure Pariglia che è un altro amico italiano. Pariglia fa sempre il senza fegato in isola, penso guardando le prime camicie del piano superiore della standa, ma è un umano che ogni tanto dice delle cose che te ne fan capire altre, come quando eravam seduti nella chiesa dove il mio amico Piero ha sposato la sua nuova moglie francese Helene. Lì lui Pariglia a un certo punto mi ha tirato per la giacca e mi da detto: “ma lo sai che io e Piero quando eravam piccoli andavam a messa insieme”, poi si è grattato il naso e si è girato dall’altra parte. La mattina dopo la festa con tutto il vino, mentre vomitavo liquami nel bagno dell’albergo, mi han raccontato che ho guidato fino a lì come il leone d’Inghilterra, ma io ricordo niente. Poi dopo quattro ore dal vomitino ci avevo un bicchiere in mano e stavo nel giardino dei genitori di Helene insieme ad altri cento invitati con la grappa. Nel giardino ho visto il papà e i fratelli di Helene. Il papà sembrava un’anima brava ma un po’ rigida e i fratelli eran talmente tanti che ho fatto confusione. Loro cantavano bevendo la grappa portata dal Lino padre di Piero facendo i gran simpatici che non si son arrabbiati neanche quando giocando al pallone uno di noi chiamato Minotauro ha fatto molto male a uno di loro che il giorno dopo è dovuto andar all’ospedale francese per farsi far delle cure da trauma. Nel giardino grande un ettaro e mezzo siam rimasti fin dopo cena quando ho sentito dire che oltre agli svariati chili di agnello eran stati cucinati cinquanta puelli. Cinquanta puelli, penso nel corridoio del piano superiore della standa dove di lì a poco vedrò quello che ho visto e che mi ha convinto a scriver ‘sta cosa, e penso a quando Piero il giorno dopo un capodanno a Padova ha fatto il bolscevico traditore. Poi abbiam detto ciao a tutti i presenti non italiani e a Helene e a Piero. Quando ho detto ciao a Piero volevo andar più via anche se ci avevo più niente da dirgli come mi capita sempre di aver niente da dir a nessuno neanche se gli voglio gran bene, ma lui ha capito. Lui ha capito come le persone che capiscono, come le persone simili al Pariglia che dice quella frase, che dice com’erano lui e Piero da piccoli a messa. Alla standa penso a quando andavamo verso l’albergo nel Bastardo Bianco e pensavo a tutte le volte in cui ho riso con Piero. In albergo poi Luca era più ciucco di me, era più ciucco di tutti e ci siam tirati sberle e calci nel corridoio dove ridevamo e Luca lì era davvero un amico, pensavo. E infatti poi all’aeroporto il giorno dopo ci siam salutati che io venivo a Venezia e lui a Madrid e ci siam detti quando ci vediamo? E lui lì poi io l’ho visto. Lui lì ci aveva gli occhi rossi ma faceva finta di no. Poi lì al piano superiore della standa. Poi lì al piano superiore della standa ho visto un bambino che si guardava allo specchio, un bambino biondo che si provava un paio di occhiali da sole come un adulto e rideva guardando la sua immagine riflessa nello specchio pensando di esser solo, pensando di esser visto da nessuno. Lì alla standa in cerca di un deodorante nuovo guardando quel bambino ho deciso di scrivere ‘sta cosa, e ho pensato a Piero, quando a Lisbona si faceva fotografare con il culo fuori.