maggio 31, 2007

Verz & Pascale




V- Come sei diventato uno scrittore, qual è stato il tuo percorso?
P- Quando ero più giovane, verso i diciotto-vent’anni, più che dalla scrittura ero affascinato dalla figura dello scrittore, e infatti sceglievo scrittori particolari come Bukowsky, Miller o Rimbaud. Mi sembrava che stessero dentro tutte le cose: la sofferenza, la malinconia, la giornata di pioggia, e che riuscissero a metterle a frutto. Cercavo di imitarli, però ovviamennte quella lì non era la mia voce e quindi scrivevo delle brutte cose. E’ vero che lo scrittore è una specie di vegetale che assorbe per restituire, io però dovevo ancora imparare cosa assorbire. Quindi per molto tempo, per scrivere ho smesso di scrivere e ho letto solamente, per capire quali modelli mi assomigliavano; e ho scoperto che alcuni italiani mi offrivano un terreno di confronto più serio rispetto a Bukowski, Miller e Rimbaud. Così ho cominciato a fare delle prove di racconto. Alcuni di questi racconti sono stati presi da Fofi sullo Straniero, poi ho scritto per il corriere del mezzogiorno una serie di reportage da cui più avanti è nata La città distratta. Quasi all’improvviso mi sono trovato ad essere riconosciuto come scrittore e ho capito che potevo farcela perché stavo lavorando sul modello che mi assomigliava.
V-Secondo te la scrittura è una forma di impegno personale, qualcosa attraverso la quale ci si migliora? E ha senso parlare invece di letteratura civile?
P-Non so se ci si migliori con la scrittura, probabilmente si acquista una misura del mondo, di sé stessi nel mondo, ma quanto sia purificante non lo so dire. Insomma, a volte, può capitare che scrivendo metti a fuoco anche un problema che ti tormenta e lo superi, a volte però no. E poi i risultati sono molto lenti, mi sembra che un bilancio si possa fare dopo 30 anni che scrivi, non ha molto senso chiedersi continuamente se la scrittura ti ha aiutato oppure no.
Per quanto riguarda l’impegno civile io sono nato con questa etichetta, perchè il reportage e i racconti che avevo scritto affrontavano tematiche sociali. Però ci ho un po’ riflettuto, e penso che oggi la denuncia è la cosa più facile da fare: su qualunque blog, per dire, c’è qualcuno che denuncia qualcosa che non va, quindi il problema non è denunciare, ma capire come devi farlo. In passato mi ero fissato sull’altare della patria, proprio non mi piaceva. Lo so che c’è una scuola di pensiero che dice che è bello, è ironico, ma secondo me contiene tutti gli stilemi del fascismo: la retorica, la pomposità, i capitelli, quell’idea di grecia un po’ decadente. Tutto questo stona con i principi della costituzione e con il fatto che siamo una repubblica antifascista. Come faccio a condannare il fascismo se uso lo stesso linguaggio, è una contraddizione. Ecco, secondo me la denuncia deve partire proprio dall’invenzione di uno stile alternativo agli stilemi del potere che contesti. Per restare in tema di monumenti, il monumento delle fosse ardeatine a Roma è davvero un monumento civile, non perchè commemora i morti delle fosse ardeatine ma perchè ha rifiutato il classico stile commemorativo del fascismo inventando un altro stile.
V-Una tua opinione su quelle narrazioni a metà tra l’invenzione, l’inchiesta e il reportage.
P-Prendiamo l’ultimo caso letterario dell’anno, gomorra di Roberto Saviano. Il libro mi piace molto, tratta di cose che noi che abitiamo al sud conosciamo ma che Roberto ha saputo mettere finalmente molto bene in scena. La cosa, invece, che mi piace di meno è che non capisco mai dove finisce l’invenzione e dove invece ci sono i fatti. In una materia come quella, così difficile, bisognava essere più chiari, invece il personaggio Saviano è un personaggio romanzato, sempre al posto giusto nel momento giusto, onnipresente accade un fatto e lui c’è. Ovviamente molto di questo è evidentemente romanzata, non falsa si intende, ma romanzata, la storia del sarto che ha fatto il vestito ad Angelina Jolie, per dire, è una cosa che probabilmente qualcuno gli avrà raccontato. Ecco, questo a volte rischia di confondere. Detto questo, è un gran bel libro.

V-Secondo me la differenza tra uno scrittore e un aspirante scrittore, penso a chi ha frequentato una scuola di scrittura come la mia, non dipenda tanto da una minore conoscenza delle tecniche, ma da una mancanza di forza in quello che scrive. I testi scritti bene non sono pochi, ma quelli da cui passa qualcosa si.
P-In effetti anche io ho notato un miglioramento molto forte, oggi è difficile trovare persone che scrivono male, generalmente hanno tutti una certa correttezza formale. Il problema è che si dovrebbe scrivere perchè c’è un ossessione, un gusto, e questi li trovo di rado. C’è una pulizia, un attenzione al personaggio, le cose accadono quando devono accadere, però quello che manca è il pensiero: tu cosa mi vuoi dire, perchè mi porti là? Il fatto è che a 24-25 anni,l’età in cui si frequentano le scuole di scrittura si è un po’ poveri di esperienza, mentre la scrittura è una disciplina che affronti meglio quanto più fai esperienza e ci ragioni sopra. A quell’età si è più retorici, più teorici, si amano le idee e non le persone, e quindi escono fuori dei racconti poco pratici. Anche se forse dico così perché io preferisco la letteratura empirica a quella teorica.

V-Come capisci che sei sulla strada giusta?Quanto sono importanti le tecniche?
P-Credo che molti scrittori usino la tecnica in maniera inconscia: spesso ragionando sui personaggi trovano quella strada, quelle regole. Altri scrittori sono invece capaci di seguire delle regole canonizzate. Io non so a quale di queste due categorie appartengo, spesso quando rileggo i miei libri penso che adesso avrei fatto in un altro modo, il che dipende probabilmente dal fatto che la consapevolezza della mia scrittura è aumentata. Quando cominci a scrivere la consapevolezza è più bassa, più sporca, poi andando avanti e misurandoti con le recensioni, i consigli, cresce. E questa è l’altra difficoltà: a volte nello scrittore c’è così tanta consapevolezza, così tanta forza nelle tecniche, che alla fine si vede più la filigrana che non il pensiero. Secondo me il libro più bello di quest’anno è Caos calmo di Veronesi; ci ha messo 5 anni a scriverlo con vari tormenti. Forse complicarsi un po’ la vita quando si scrive è proprio la strada o la tecnica migliore, perché i tormenti del personaggio sulla pagina sono un po’ i tuoi tormenti interiori e la fantasia in fondo è questo, l’arte di creare degli ostacoli ma soprattutto il modo di superarli.
V-Qual’è la tua idea di letteraturta?
P-Un’idea di letteratura popolare; a me piaciono le cose chiare, non semplici ma chiare. Mi sembra che più lo scrittore è chiaro più energia c’è in quello che scrive. Tutta la letteratura sperimentale, oscura, arcana, melodrammatica, non mi convince molto; non mi convincono neanche gli scrittori che hanno un mondo interiore sempre mobile, sempre acceso. Il mio modello narrativo sono quegli autori che hanno una sorta di attenzione a quello che pensano, alle proprie emozioni e alla propria vita interiore, ma anche alle conseguenze di tutto questo sul mondo esterno. Quando ero più giovane mi interessava il grande impatto emotivo sul personaggio, invece adesso mi piace di più il personaggio a cui mentre esce di casa per il gran caldo, sudato, succede qualche piccola cosa che cambia un po’ la sua vita e cambiando la sua vita cambia anche un po’ la vita degli altri. Ecco, come si sposta il mondo, questo mi interessa, e quando uno scrittore trova questa misura mi piace molto.

V-Cosa ti interessa raccontare oggi?
P-Ho compiuto quarant’anni, e dopo aver raccontato la società , la corruzione, adesso mi interessano cose un po’ più essenziali. A questa età, la cosa che viene secondo me viene fuori è il sesso, inteso come sperimentazione di sè, come arrivare a delle zone oscure mascherate. Come conoscenza.

V-Ci sono delle forme che vorresti sperimentare?
P-Mi interessa molto la fiction amercana di qualità, sopranos, e.r, six feet under che tra l’altro mi sembrano riprendere certi modelli della letteratura russa. Secondo me il meccanismo seriale si può importare anche nei romanzi. L’ha fatto anche Roth con zuckerman, un personaggio che tu segui fin da piccolo mentre cresce, cambia ed invecchia insieme a te. Un personaggio così, capace di prendere forza e anima può essere un buon metro per attraversare il mondo, ed è quello che sto provando a fare anch’io. I miei racconti da ora in poi avranno come protagonista Vincenzo Postiglione, che il lettore già conosce iniseme ai membri della sua famiglia e che seguirà nelle sue avventure.

V-Qual’è il tuo rapporto con le case editrici?
P-Questo è un discorso complesso, perché l’aspirante scrittore tende a piangere, a dirsi ho le carte per pubblicare ma non me lo fanno fare, mentre in Italia si pubblica parecchio. Il problema è che le case editrici hanno come riferimento, come forza trainante, soltanto alcuni autori, ad esempio Benni per Feltrinelli. Gli autori però sono tanti, anche molto diversi tra loro, e generalmente è difficile che l’ufficio stampa riesca a trovare il modo per pubblicizzare queste diversità. Quindi generalmente si fa così: esce il libro, l’ufficio stampa fa delle telefonate, spesso alle segreterie telefoniche di qualche giornalista, e finisce lì. Non c’è una misura per te insomma.